Il senno di poi è fatto di “avrei” e di “so”, non sa cambiare il passato e nemmeno può determinare il futuro, perché a ogni senno di poi ne può seguire un altro, in una successione senza fine, al punto che sembra impossibile ricordarsi del primo. Quindi a che serve?
Le domande
Sono rientrata da 16 giorni e la maggior parte delle persone che sapeva del mio viaggio, nel momento in cui mi incontra, pende dalle mie labbra in attesa di mirabili racconti e chiede quali siano state le difficoltà e le situazioni impegnative, se abbia patito la solitudine e l’isolamento e se non mi sia mancato parlare con qualcuno che capisse la mia lingua. Io resto perplessa, perché, rispetto alle aspettative che queste domande nascondono, il mio viaggio sembra essere stato poco più di una passeggiata nel giardino sotto casa con i preparativi vissuti fingendo di essere un cowboy alla conquista del west.
Il senno di poi
La verità è che io sono tornata solo con una manciata di “avrei” e “so” che non fanno altro che dirmi dove sono (mentre per provare a intuire quel che verrà domani sono inutili quanto una bussola impazzita) e nessun resoconto di atti di estremo coraggio:
- avrei potuto portare solo 2 confezioni di caffè invece delle 4 che erano nel bagaglio;
- avrei dovuto portare un secondo pentolino, meno alto e più largo;
- avrei dovuto evitare che la tracolla della custodia della macchina fotografica mi scivolasse dalle mani e che il filtro polarizzatore fresco fresco di acquisto si rompesse;
- avrei potuto capire che il viaggio sarebbe servito più per realizzare finalmente cosa fosse l’Islanda che per trovare le risposte che stavo cercando;
- so che non si può spiegare perché un luogo può sopraffarti con il suo interminabile mutare, nemmeno quando hai bisogno di un modo per fare sì che chi ti sta di fronte la smetta di guardarti come se fossi uno sfigatissimo Leopardi davanti all’ermo colle;
- so che mi piace dormire in macchina infilata nel sacco a pelo al punto che voglio trovare un modo per rifarlo al più presto, ma sono pochissime le persone alle quali posso confidarlo senza che mi guardino con compassione;
- so che il momento migliore della giornata per me è il risveglio, possibilmente prima del gallo, altrimenti ho l’istinto di tirargli il collo;
- so che ho bisogno dell’acqua per nuotarci, più che per starci a mollo in lessatura lenta e inesorabile;
- so che la folla mi uccide, lentamente e inesorabilmente, in ogni caso e quantità, ma che con “questa umanità qualcosa dovremo farci”;
- so che senza parole non so stare, ma questo non significa che con me ti debba portare. Del resto gli italiani con il mese di Agosto sono come le api sul miele ed esiste un grappolo di umanità che è convinta che voglia parlare con lei anche quando nego vistosamente, per cui l’unica speranza per un isolamento in senso stretto è di andare a cercarlo napoleonicamente a Sant’Elena;
- so che l’ignoto esercita su di me un fascino irresistibile e subdolo, galvanizzandomi come fossi un esploratore stagionato anche se mi limito a percorrere una pista battutissima, ma mai prima da me e viaggio con una scorta di viveri grazie ai quali potrei sopravvivere per un mese intero (se solo sapessi come utilizzarli al meglio);
- so che tutto è relativo, anche la solitudine;
- so che consiglierei una destinazione non per ciò che ho visto, ma per il numero di senni di poi che mi ha regalato.
Scrivi un commento