Sono trascorsi più di 4 mesi dal mio rientro dalla Groenlandia orientale. Ho avuto il tempo di far sedimentare i ricordi e le impressioni e anche di ricevere mail sarcastiche dall’Olanda: scrivere “i nuovi racconti stanno per arrivare” induce a pensare che sia questione di giorni o, al massimo, di settimane e comunque in Olanda non si penserebbe mai a un’attesa di mesi. Impossibile dargli torto. Avrei potuto ripercorrere il diario del mio viaggio e raccontare della vita invernale di Tasiilaq, con i bambini che usano le strade come piste da sci e i cani nutriti e operosi che trainano le slitte. Del resto (quasi) un mese in Groenlandia d’inverno offre un’ampia gamma di informazioni. Il fatto però è che i souvenir di viaggio questa volta sono stati di altra natura.
Due settimane sono un periodo lungo rispetto al metro tradizionale con cui si misura un viaggio o una vacanza, eppure l’esperienza che ne ricavi è solo un assaggio della superficie di un luogo e delle vite che lo abitano e, soprattutto, non riesci a percepire quanto si nasconda al di sotto di questa superficie. In un mese, invece, hai tutto il tempo per aprire le porte dei seminterrati e delle cantine in cui gli altri nascondono le loro vite e, se sei fortunato, intravedi veri e propri mondi. Un mese è il tempo che ti fa percepire quanto possa essere spesso il velo dell’apparenza e come tu lo abbia inconsapevolmente intessuto, con quale percentuale di pregiudizi, paura, difese, ostentazione di differenze e linguaggi, se abbia preferito il modello “velo da sposa” o quello “trapunta patchwork”.
Velo o trapunta che sia, l’apparenza probabilmente non cadrà mai, nemmeno dopo una vita nello stesso luogo, ma un mese in una terra straniera ti impone di fare i conti con la sua esistenza, di provare a stare in equilibrio tra bellezza e difficoltà e di impegnarti a tenerle separate, per non perdere la curiosità dello sguardo né minimizzare la spigolosità della realtà. Diventa quasi una pratica zen a base di pazienza e cura. La fretta qui non esiste perché non ripaga mai, anzi fa percepire più scivolosi neve e ghiaccio e ostili le persone; la cura qui è necessaria perché dalla Groenlandia orientale in pieno inverno non si può scappare, al contrario, se il meteo non si mette d’accordo con quello islandese, ci sono buone probabilità di restarci letteralmente intrappolati e, in quel caso, è essenziale sapersi occupare delle proprie reazioni e di quelle altrui.
Ma il più grande beneficio della percezione dell’apparenza è la tua incapacità a capire, lo spaesamento, la netta sensazione che ogni rifermento stabile sia solo una tua invenzione. Nulla ti impedisce di inventartene di nuovi e scintillanti ogni giorno, ma il fatto che resistano è solo… apparenza. Se invece ti abbandoni, hai l’opportunità di imparare a galleggiare tra fatti, abitudini e idee senza il bisogno di ancorarti a nessuno di questi. Li lasci esistere al tuo fianco, li prendi per quel che sono: tracce che collegano te a un altrove. E realizzi che le tracce non reggono nessuno, che l’equilibrio è compito tuo e che essere prima di tutto soli ha un senso: quello di darti senso.
Scrivi un commento