La Groenlandia è blu. Blu oceano, blu cielo, blu iceberg. Alcune casette in legno sono blu. Anche il logo della catena di supermercati Pilersuisoq ha lo sfondo blu. La bandiera groenlandese, invece, è bianca e rossa, ma solo per distinguersi e fare eccezione. Non ho una ragione per far rientrare la Casa Rossa nel ragionamento, ma dalle sue finestre vedi tutto il blu della Groenlandia.
“È noto che il blu abbia un peso nel ridurre la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa e la frequenza del respiro”, dice il primario di Neurologia dell’Istituto San Raffaele Pisana di Roma, Piero Barbanti. In pratica la Groenlandia è una dose massiccia di relax somministrata in formulazione cromoterapica. La sensazione prende piede nelle ultime fasi del volo di avvicinamento all’isola, quando l’oceano, da colore informe sotto di te, assume delle sembianze riconoscibili grazie alla presenza degli iceberg. Come ogni medicamento, comunque, mostra i suoi massimi benefici in condizioni di riposo, per questo è utile sostare a Tasiilaq.
La veranda della Casa Rossa
Il massimo delle fatica consiste nel posizionare la sedia in modo che i piedini non si incastrino tra le assi di legno e, al mattino presto, nel dare una passata con uno straccio per non alzarsi con il sedere bagnato. Poi ti siedi sulla veranda della Casa Rossa e respiri usando tutto il volume dei tuoi polmoni.
Silenzio.
Guaire di cani.
Tonfo di una porzione di iceberg collassata.
Silenzio.
Rimbombo delle parole che stai leggendo.
Silenzio.
Il brusio dei sogni… ti sei addormentato al sole?
Al brusio dei brividi di freddo si indossa la giacca o ci si trasferisce nel salone della Casa Rossa, che offre la stessa vista fronte fiordo di Tasiilaq.
Il villaggio di Tasiilaq
Non è la noia che ti spinge a prendere il largo dalla veranda della Casa Rossa, quanto la curiosità di riuscire a immaginare come possa essere vivere qui. Allora imbocchi la strada che, prima sterrata, diventa asfaltata nel tratto che va dall’eliporto… all’eliporto, nel senso che, se scegli di seguire l’asfalto, compirai il giro del villaggio tornando al punto di partenza. Non si può dire che le strade sterrate siano tutte secondarie, semplicemente sono laterali e finiscono per portarti fuori dal paese.
I servizi principali ci sono tutti: ufficio postale che vende anche l’elettronica, un supermercato più grande dove si acquista dal pane al passeggino e uno più piccolo di soli alimentari; poi l’ospedale, le scuole, la ferramenta e la lavanderia con i bagni pubblici. All’ufficio informazioni turistiche, riconoscibile dal cartello che indica direzioni e distanze per il Circolo Polare (105 km), la capitale Nuuk (680 km), Reykjavik (763 km) e Copenhagen (2863 km), si acquista il gelato secondo la logica “più ne prendi, meno spendi” (25 corone per 2 palline e 35 per 4). Una casetta verde ospita un gruppo di intagliatori che si lasciano guardare mentre lavorano denti di narvalo o di orso, pelle di balena, corna di bue muschiato…
La nuova chiesa è una struttura pentagonale su cui svetta il cono del campanile; all’interno è luminosa e accogliente, con inginocchiatoi rivestiti di pelle di foca e ricamati con scene di vita tradizionale. La vecchia chiesa, invece, è diventata museo e, negli stessi orari di apertura, si può visitare un’abitazione inuit tradizionale, ricostruita poco distante. Realizzata con muri in pietra e tetto in legno sfruttando una depressione del terreno, è riconoscibile solo quando le stai di fronte. Ti pieghi per passare dall’ingresso e finisci in un’unica stanza suddivisa in 5 scomparti da tende di pelle, uno per ciascuna famiglia. Quando ti abitui alla semioscurità, ti volti verso l’unica parete da cui entra la luce: le finestre sono chiuse da un tessuto semitrasparente che il museo ti ha insegnato essere interiora di foca.
Anche il comune merita una visita per guardare fotografie, quadri e manifesti di pubblicità progresso: i rifiuti vanno messi nei cestini ed è buona regola verificare la riserva di condom prima dei momenti di intimità, perché durante può essere…scomodo!
I dintorni di Tasiilaq
Credo sia una deformazione culturale quella che ti porta a vedere le cime delle montagne come un luogo da raggiungere. Così come quella che ti porta a pensare che ogni forma del paesaggio debba avere un nome e si possa raggiungere solo in presenza di un sentiero che indica il percorso e la distanza in metri od ore di cammino. Qui invece le cartine non riportano nomi per le montagne, i laghi sono “lake” o solo macchie azzurre e i sentieri tracciati sono due, uno che porta sull’altra costa dell’isola di Ammassalik e uno che compie un anello allo spalle del villaggio. Ma ciascuno è libero di tracciarsi il proprio verso qualunque meta abbia individuato e di cambiarlo ogni volta.
Le strade del villaggio suggeriscono la via d’uscita dal paese e la fine dell’abitato tende a essere segnata dalle mute di cani rigorosamente alla catena. Alcuni dormono e continuano a dormire, altri si alzano e danno il via al coro dei guaiti; i cuccioli sono nascosti nelle buche del terreno o giocano, ma non ti guardano. Qualche adulto non è contento che tu sia lì, anche solo di passaggio, mentre altri ti chiamano e sta a te decidere se provare ad avvicinarti o meno, perché anche i più docili sono selvatici e non si accontentano di essere accarezzati, ma vogliono fare la loro parte a forza di spintoni e strattoni ai vestiti che prendono tra i denti.
Superata la frontiera canina, si entra nella terra di nessuno. Non si incontra nessuno e nessuno può dirti quanto ci impiegherai ad andare dove stai andando e quale sia la strada migliore per arrivarci. Sulla veranda della Casa Rossa ci si indica a vicenda un’idea di sentiero utilizzando le forme del paesaggio come riferimenti, ma quando sei sul posto alcuni sembrano volatilizzarsi o si dimostrano semplicemente quelli sbagliati. Si impara ad avere fiducia nella propria intuizione, a misurare la propria esperienza e a fare appiglio sull’incertezza. Quando si vacilla, si cerca il blu: oceano- iceberg- cielo, lago- ghiacciaio- Groenlandia.
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